Intervista a Pietro RIPA Private Banker Banca Fideuram – ProfessioneARTE

    Le Interviste di ProfessioneArte.it

    Lui è Pietro Ripa Private Banker di Banca Fideuram.

    Cinque domande per conoscere in anteprima i grandi  professionisti dell’arte, le quotidiane sfide da affrontare, le scelte che hanno determinato il loro percorso nel sistema e nel mercato dell’arte, i cambiamenti all’insegna del digitale e i consigli per chi desidera intraprendere la stessa carriera in collaborazione con ProfessioneARTE.it.

    Curiosità, intraprendenza e competenza, anche e sempre di più in ambito tecnologico. Così sarà il professionista della finanza del domani per Pietro Ripa, esperto di consulenza finanziaria e gestione del portafoglio oggi Private Banker per Banca Fideuram.

    Le competenze finanziarie, la conoscenza degli aspetti del mercato rappresentano certamente la conditio sine qua non da non sottovalutare, ma i rapporti di fiducia da costruire con coloro che affidano la gestione finanziaria del proprio patrimonio diventano imprescindibili.

    Nell’immediato futuro c’è il cambiamento delle abitudini, lo sviluppo di nuove soluzioni, la reazione al Coronavirus, in questa intervista Pietro Ripa offre uno sguardo analitico sul futuro del mercato dell’arte e degli investimenti, perché “chi rimarrà fuori da questa rivoluzione in atto, sarà come quel soldato che si presenta in un conflitto moderno con un arco e qualche freccia spuntata”.

    Pietro Ripa è esperto di consulenza finanziaria e gestione del portafoglio, Private banker in Banca Fideuram.

    Già responsabile del Private Banking del Gruppo Carige, è stato Investor Relations Manager nei Gruppi Bancari Carige, MPS, Abn Amro, Antonveneta e Credem.

    Ha ricoperto il ruolo di Senior Art Finance Advisor per AXA Art e Art Defender. È co-autore de “Gli investimenti in beni da collezione”, pubblicazione annuale di Art&Finance di Deloitte, co-autore de  Il diritto dell’arte – la protezione del patrimonio artistico”, autore di numerosi articoli pubblicati su riviste specializzate di economia e servizi per le imprese.

    Ideatore e direttore del “MPS Art Weekly Report”, è relatore in numerosi convegni sulla finanza dell’arte, è stato insignito della Medaglia Laurenziana 2016 dalla Accademia Internazionale Medicea e vincitore del Premio Spoleto Festival Art 2016.

    1. Come è iniziato il suo percorso nel mondo dell’arte?

    Il mio percorso è iniziato in maniera casuale, quando, durante un “rimescolamento” manageriale in un importante Gruppo bancario nazionale, mi sono trovato ad essere il responsabile dell’Ufficio Studi.

    Per me, che venivo dal mondo della finanza pura, non era proprio il “desiderata” a cui ambivo, in più era appena partita la grande crisi del biennio 2008-2009 (anche se per noi italiani è stata più lunga).

    Pensai allora a qualcosa che potesse coniugare le mie competenze pregresse, con la mia nuova responsabilità manageriale e cominciai a sviluppare uno studio sui settori che stessero reagendo meglio a una crisi così severa.

    Sviluppai un osservatorio sugli investimenti in beni del lusso prima, poi focalizzato sui beni da collezione, che ebbe un discreto successo e che, a distanza di dodici anni, continuo a portare avanti con immutata soddisfazione, con la società Deloitte.

    2. Come descriverebbe la sua professione oggi?

    Sono un consulente finanziario e mi occupo per i miei clienti di gestione del patrimonio nella sua interezza.

    Per cui, oltre alle competenze di natura finanziaria (per semplificare, dove conviene investire i propri risparmi, dati gli obiettivi temporali, la tolleranza al rischio e il contesto di mercato), devo conoscere anche gli aspetti che regolano la valutazione e la trasmissione del patrimonio complessivo di una famiglia.

    In Italia, la componente immobiliare è la più preponderante, seguita, in alcuni casi da quella aziendale e in minima parte, (anche se cresce nel tempo) da quella artistica, intesa come la valutazione dei beni da collezione: dipinti, gioielli, orologi e auto classiche soprattutto.

    3. Come è cambiata nel tempo la sua professione?

    Si sta rivoluzionando.

    Oggi le competenze finanziarie, nel mio ruolo, sono “la conditio sine qua non” per poter gestire in maniera consapevole i risparmi che i clienti ti affidano.

    Chi svolge il mio ruolo, aiuta il cliente a definire il suo progetto di vita. Se svolgi bene questo lavoro, diventi (mi permetto di dire) una delle persone più vicine alla famiglia: un “consulente di famiglia”.

    Nel rapporto fiduciario e totalizzante che si viene così a creare, spesso vieni coinvolto anche nella gestione, valutazione, valorizzazione di opere d’arte, spesso tramandate da generazioni.

    Questo ruolo l’ho svolto più volte durante le successioni, ad esempio, dove, soprattutto quando non c’è piena armonia tra i legittimari, il saper consigliare con tempestività sulla corretta valutazione di una collezione ereditata, ha aiutato più di una volta a dirimere diatribe tra gli eredi stessi.

    Ritengo che in futuro, queste competenze sull’immobiliare e sulla valutazione di un patrimonio artistico diverranno sempre più cruciali e sempre più richieste.

    4. Che impatto sta avendo il digitale nel suo settore?

    La drammaticità del Coronavirus ci ha obbligato a sviluppare in tempo zero capacità nel mondo digitale.

    Oggi mi ritrovo a gestire i contatti con la mia clientela completamente “mediato” dallo strumento tecnologico e dai canali “social”(WhatsApp soprattutto).

    In un campo tradizionalmente riservato e dove una stretta di mano, dopo la firma su un contratto, equivale a un patto morale tra le parti, è una rivoluzione. Temo tuttavia, che anche a pandemia esaurita, o in tempi più rilassati, rimarrà comunque un po’ di psicosi “sociale” e le nostre relazioni rimarranno più rarefatte.

    Chi rimarrà fuori da questa rivoluzione in atto, sarà come quel soldato che si presenta in un conflitto moderno con un arco e qualche freccia spuntata.

    5. Cosa consiglierebbe a un giovane che vuole intraprendere la sua professione?

    Mi capita spesso di ricevere questa domande da alcuni studenti in corsi di economia dell’arte in cui sono docente.

    Rispondo sempre alla stessa maniera: occorre curiosità. Perché le professioni cambiano e si evolvono nel tempo e verranno utilizzati strumenti sempre più tecnologici.

    La tecnologia però può diventare una trappola, perché se da un lato ci semplifica la vita, dall’altra parte rischia di omologarci. L’errore più grande che un giovane possa fare, a mio avviso, è sentirsi sicuro perché padroneggia il mezzo tecnologico.

    Quello che serve è invece curiosità, che determina “sapersi sporcare le mani”, ma che sviluppa anche l’intuito: la previsione di come sta cambiando il mondo del lavoro, quali saranno i suoi attori, cosa posso fare io per proporre qualcosa di innovativo, di non omologato.

    Le competenze si fanno, la tecnologia sarà sempre più uno strumento democratico e di uso comune, ma come un professionista svolge il suo lavoro (qualunque esso sia) e quanto sia capace di far percepire la sua unicità, farà sempre la differenza.

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    Questa intervista è stata realizzata in collaborazione con ProfessioneARTE.it, la prima community dedicata alla formazione, aggiornamento e orientamento verso le professioni dell’arte.

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